#9 Big Size Matters: l'ascesa del nuovo trend dell'Oversized Marketing
Non è solo una questione di taglie XXL, ma di un nuovo modo di raccontarsi e farsi notare.
Viviamo in un’epoca in cui la soglia di attenzione si è ridotta drasticamente e in cui siamo tutti un po’ vittime dello scrolling ossessivo e compulsivo tra i vari social.
Ogni giorno, milioni di contenuti si sovrappongono nei feed dei social media, costringendo brand e creator ad una competizione serrata con un solo obiettivo: fermare il pollice in corsa.
Ciao, questa è la newsletter di Sbranding dove cerco di analizzare le tendenze del momento traendone spunti utili da riadattare in qualsiasi contesto.
Viviamo realmente in un periodo in cui tutto sembra effimero e deperibile e in cui si fa davvero fatica a lasciare il segno.
Per emergere in questo mare di contenuti, alcuni brand hanno adottato una strategia che punta all’esagerazione visiva e concettuale: l’Oversized Marketing.
Che cos’è l’Oversized Marketing?
L’oversized marketing è una strategia comunicativa che si basa su un principio semplice: l’esagerazione. Che si tratti di elementi visivi fuori scala, claim iperbolici o esperienze immersive, l’obiettivo è rendere un messaggio indimenticabile attraverso la spettacolarizzazione.
Oversized Marketing è esattamente quello che suggerisce il nome: una comunicazione che occupa spazio in modo grande ed esagerato.
Ma non si tratta solo di dimensioni: è una questione di impatto emotivo.
Qualche esempio:
La tote bag più iconica di Marc Jacobs è diventata grande, grandissima, gigante…
Jacquemus ha trasformato le strade di Parigi in un palcoscenico per la sua iconica Le Bambino, realizzate in CGI in varie colorazione.
Ma sono sicura che nell’ultimo periodo avrete visto una campagna social che veicolava messaggi attraverso shopper bag giganti.
Perché questa ascesa delle Taglie XXL?
Personalmente, vedo l’oversized marketing come una risposta creativa alla crisi dell’attenzione. Più i social ci abituano a contenuti veloci e usa-e-getta, più diventa essenziale trovare nuove forme di espressione che spezzino il pattern a cui siamo abituati e lascino il segno.
Il concetto chiave è che i brand non vendono solo prodotti, ma esperienze e storie. E in un mercato dove ognuno di noi è bombardato ogni giorno da contenuti, chi riesce a creare un filone narrativo memorabile e distintivo, vince.
Oltre a questo, l’ascesa dell’oversized marketing non è solo una reazione alla saturazione dell’attenzione, ma anche una risposta ai profondi cambiamenti socioculturali che stiamo vivendo. Secondo me funziona anche perché è un riflesso di dinamiche sociologiche collegate al bisogno contemporaneo di trovare costantemente modi nuovi di apparire e di urlare di più rispetto agli altri.
E le forme oversize diventano in questo contesto un mezzo per amplificare il significato attraverso la la spettacolarizzazione e generare attenzione attraverso l’esagerazione.
Ma come adottare l’oversized marketing senza snaturarsi?
Anche qui andrebbe considerato che non per forza, trattandosi di un trend, tutti i brand possono (o devono) adottare un approccio iperbolico e ingombrante.
Ma, penso che in determinate condizioni, è utile - declinandolo ovviamente in modo coerente alla propria identità / purpose / posizionamento.
Ad esempio, per il lancio di un nuovo prodotto, per l’apertura di uno nuovo store o per un re-branding, si può annunciarli utilizzando la metafora dell’iperbole per migliorare l’esposizione del brand/prodotto e generare nuove occasioni di engagement con un pubblico nuovo o già esistente.
Ricorda che l’oversized marketing non deve per forza essere fisico: una narrazione audace, iperbolica o surreale può avere lo stesso effetto di un’installazione gigante.
Infatti, l’utilizzo dell’iperbole come elemento promozionale e comunicativo può essere adottato su prodotti iconici del proprio brand e intorno ad esso strutturare strategie online oppure offline di oversized marketing.
Anche solo un dettaglio volutamente sovradimensionato può fare la differenza.
O chissà, magari torna a far parlare di sé chin sovverte questa tendenza e torna a farsi piccolo, piccolo.
Link belli belli
Se ve lo siete persi, vi condivido nuovamente l’iniziativa di The Ordinary insieme a MSCHF che per contrastare l’aumento del costo delle uova, ha messo in vendita nel proprio store di New York 12 uova cage-free a soli 3,37 dollari.
@sbranding_E se un brand di skincare iniziasse a vendere uova? 🥚 Partiamo da una premessa: nell'ultimo anno il prezzo delle uova negli Stati Uniti secondo la BBC è aumentato di oltre il 65%. La reazione più inaspettata a questa situazione è arrivata dalla collab tra The Ordinary e MSCHF, che hanno deciso di affrontare la crisi a modo loro. Lo store di NY di The Ordinary ha ospitato un’iniziativa unica nel suo genere: la vendita di 12 uova cage-free a soli 3,37 dollari. A prescindere che si tratti di un brand vegan-free, penso che questa operazione sia brillante perché oltre a sovvertire le aspettative, The Ordinary è riuscito a venire incontro ai bisogni delle persone, veicolando in modo inedito un messaggio coerente con il proprio posizionamento (qualità a prezzi accessibili per tutti). Voi cosa ne pensate? 🍳🍳Tiktok failed to load.
Enable 3rd party cookies or use another browserHo finalmente ultimato la lettura del libro Purpose Narrative Strategy di Alberto de Martini. Super consigliato per il modello teorico sviluppato nelle pagine e la spiegazione di come adottarlo praticamente per la propria strategia.
Puma ha lanciato la nuova campagna “Go Wild” per iniziare questo percorso volto ad abbracciare una community composta da persone vedono lo sport come una fonte di divertimento e un mezzo per creare connessioni sociali. Questo è il primo capitolo dedicato ai runner, ma i prossimi saranno dedicati ad altri sport.
Un altro co-brand super particolare di cui mi faceva piacere parlare per concludere questa newsletter è quello tra Nyx Cosmetics e Minecraft. Per l’uscita del film “A Minecraft Movie”, NYX ha lanciato una special Limited Edition ispirata proprio a questo videogioco.
Ciao, complimenti per la newsletter, molto interessante.
Il trend che presenti è davvero figo e super visivo — e per questo, come dici, funziona benissimo in un momento in cui l’attenzione è merce rara, soprattutto sui social.
Mi hai fatto venire in mente una riflessione più ampia (e anche un’idea per una prossima newsletter), che riguarda l’impatto reale dei trend sul branding.
Secondo me, oggi i trend hanno un ciclo di vita sempre più breve. Una volta che 3-4 brand li hanno replicati, e con l’attention span ai minimi storici, diventa difficile per chiunque “farli propri” davvero.
Funzionano più come tattiche per generare hype momentaneo che come leve per costruire un brand nel tempo.
E spesso, anche chi arriva per primo non ne ricava un valore duraturo, vista la facilità con cui certe idee vengono copiate.
Insomma, questo (e altri) trend sono divertenti e interessanti, ma rischiano di rimanere superficiali se non si legano a valori profondi del brand.
Tu come vedi il rapporto tra brand e trend, al netto del caso specifico?
Prometto che ogni riflessione scaturita da questa conversazione sarà opportunamente citata! 😉